Secondo la filosofia giainista, tutte le anime sono intrinsecamente pure[16], in possesso delle qualità di infinita conoscenza, percezione infinita, beatitudine infinita e infinita energia. Quando sono associate agli esseri senzienti, le anime perdono la purezza primeva, trascorrendo nel ciclo delle vite, contaminate e ostacolate, a causa del karma. L'anima è associata al karma per l'eternità del tempo senza inizio[17]. Questa schiavitù dell'anima è spiegata nei testi giainisti, per analogia con il minerale dell'oro, che, nel suo stato naturale, si trova sempre allo stato grezzo, di commistione con altri materiali metallici. Allo stesso modo, lo stato idealmente puro dell'anima è sempre intrinsecamente permeato dalle impurità del karma. La liberazione dell'anima dalle impurità del karma, può essere raggiunta - come quella dell'oro - applicando i giusti metodi di purificazione. Nel corso dei secoli, i monaci jaina hanno sviluppato un corpus ampio e sofisticato di letteratura che descrive la natura dell'anima, i vari aspetti del karma, e le modalità e gli strumenti per raggiungere moksa[18]. Un filosofo gianista, Virchand Gandhi descrive il karma così:- "Tutte le anime non liberate, quando trapassano da una vita all'altra, portano con sé il corpo carmico, che è invisibile e sottile. Questo corpo, a seconda delle energie carmiche che trasporta, attira le particelle di materia, necessarie per formare il nuovo corpo fisico. Gli organi dei sensi, parola e mente si formano in base alla capacità dell'anima di collazionarli, attraverso le sue connessioni carmiche. Così si ri-nasce nei mondi infernali o celesti. La mente include i desideri, le emozioni, l'intelligenza, il pensiero. Secondo i gianisti, l'anima in forma pura ha infinita conoscenza e potere. Queste facoltà sono ostruite dalla schiavitù carmica[19].
Reincarnazione e trasmigrazione
Il karma costituisce un elemento centrale e fondamentale della fede gianista, essendo strettamente collegato ad altri suoi concetti filosofici come la trasmigrazione, la reincarnazione, la liberazione, la non-violenza (ahimsa) e il non attaccamento. Le azioni hanno conseguenze: a volte immediate, a volte rimandate a future incarnazioni. Così la dottrina del karma non è considerata in relazione ad una sola vita, ma anche in relazione alle future incarnazioni e alle vite precedenti[20]. L' Uttarādhyayana-sutra afferma (vv. 3,3-4): "Il Jiva o anima a volte è nato nel mondo degli dèi, a volte in un inferno, a volte acquisisce il corpo di un demone. Tutto questo avviene a causa del suo karma. Questo Jīva a volte nasce come un verme, come un insetto o come una formica"[21]. Il testo dichiara inoltre (vv. 32,7): "Il karma è la radice della nascita e della morte, le anime legate dal karma girano e girano nell'infinito ciclo dell'esistenza". [22]
Le azioni e le emozioni della vita attuale, influiscono sulle incarnazioni future, a seconda della natura del karma che contengono. Ad esempio, una condotta buona e virtuosa, indica un desiderio latente di sperimentare gli aspetti buoni e virtuosi della vita. Pertanto, una persona attira karma positivo, con cui si assicura che le nascite future gli permetteranno di vivere e manifestare, senza ostacoli, le proprie virtù[23]. In questo caso, rinascerà in cielo o in una famiglia umana, prospera e virtuosa. D'altra parte, una persona che si comporta in modo immorale e compie atti crudeli, manifesta il desiderio latente di sperimentare gli aspetti negativi e crudeli della vita[24]. Di conseguenza attirerà karma che lo porterà a reincarnarsi all'inferno, o in forme di vita inferiori, che gli permetteranno di sperimentare la crudeltà e la mancanza di regole morali, da cui si sente attratto[24].
Non c'è qui un giudizio di condanna o approvazione: non è una punizione o una ricompensa, ma una naturale conseguenza delle scelte di vita fatte consapevolmente o inconsapevolmente. Qualunque sofferenza o piacere che l'anima potrebbero sperimentare nella vita attuale è causato da scelte che ha fatto in passato[25]. Come conseguenza di questa dottrina, il giainismo attribuisce enorme importanza alla purezza del pensiero e del comportamento morale[26].
Buddhismo
Il karma è un "principio universale" secondo il quale un' "azione virtuosa volontaria" genera una o più rinascite positive, mentre un'azione "non virtuosa volontaria" (che produce sofferenza) genera rinascite negative. Il karma, dunque, vincola tutti gli esseri senzienti al ciclo del samsāra poiché tutto ciò che l'essere farà, si ripercuoterà in una qualche "condanna" nelle vite future. Quando si compie (o si desidera di compiere) un'azione non virtuosa, si depositano nella vita stessa dei "semi" o "residui" (sans. vāsanā) ) in seguito alla produzione di karma negativo. Quando si compie un'azione virtuosa invece, si produce karma positivo. Questi residui allungheranno la permanenza dell'esistenza nel samsāra. Esiste però un tipo di karma che non è né positivo né negativo, quello che porta alla "liberazione" (Vimukti) ed è indicato come aśukla avipāka karma karmaḳsayāya saṃvartate[27]. Ogni manifestazione degli esseri senzienti possiede una certa quantità di "semi del karma" che, finché non saranno esauriti, li costringeranno a permanere nel ciclo del samsāra. Questi "semi" sono frutto di azioni compiute in innumerevoli vite precedenti. Essi non possono diminuire ma possono essere distrutti con il raggiungimento dell'"illuminazione" (Bodhi). Con l'estinzione del debito karmico, l'essere non sarà più vincolato al karma e quindi al samsāra e potrà raggiungere il Nirvana. Il significato e il ruolo attribuito alla dottrina del karma varia a seconda degli insegnamenti delle differenti scuole buddhiste.
« O monaci, io non insegno altro che l'atto. »
(Mahavastu, ed. E. Senart, I, 246)
« Il mio atto è il mio bene, il mio atto è la mia eredità, il mio atto è la matrice che mi ha generato, il mio atto è la razza cui appartengo, il mio atto è il mio rifugio. »
(Anguttara Nikàya, trad. David-Neel, Le Bouddhisme, p. 152.)
Il compimento (samskhāra) dell'atto (karman) nel Buddhismo è visto in stretta relazione con l'intenzione (cetana), che ne determina le qualità morali[28]. Un gesto compiuto o un pensiero elaborato (prayatna) senza intenzione non produce effetti karmici, né negativi né positivi.
Il buddhismo Theravāda classifica in diversi modi il kamma. Una di queste modalità prende in considerazione il risultato che produce l'azione. E così si hanno le seguenti classi di kamma.
Atti oscuri con risultati oscuri. Questi sono atti che sono dannosi, che violano uno o più precetti. Conducono ad una nuova esistenza di intenso dolore.
Brillanti, o puri, con esiti brillanti. Una tale azione è innocua. In questa categoria è inclusa l'astensione dal prendere la vita, dal furto ecc. quando ciò è compiuto con l'intenzione di ottenere una rinascita favorevole. È detto che l'astensione dal male in tali circostanze conduca veramente ad una rinascita in uno stato di autentica benedizione.
Sia oscuri che brillanti con esiti misti. Tali atti sono quelli che sono allo stesso tempo dannosi e benefici. Hanno esito in stati di esistenza che, come l'esistenza umana, conoscono sia il piacere che il dolore. Una caratteristica significativa di ciascuna di queste prime tre categorie è che muovono da un proposito. Ossia, sono compiute con l'intento di ottenere un godimento sensuale in questa vita, oppure una specifica rinascita.
La quarta categoria di atti è chiamata "[atti] né oscuri né brillanti, con nessun tale esito". Atti di questa categoria finale conducono al consumo del kamma passato. Questa categoria di atti implica la rinuncia agli atti che conducono alla rinascita, che sia dolorosa o piacevole. Una tale azione, contrariamente a quelle delle prime tre categorie, è priva di sé. Per cui, dal punto di vista buddhista, è la sola da doversi perseguire.[29]
Condizionata dalla sola esistenza (bhava), la nascita (jati)[30] delle intenzioni non è reversibile e niente di ciò che esiste (tranne il nirvana) che sia una divinità, una pratica rituale, un rimorso, un rimpianto o la morte potrà impedire che se ne formi il frutto, che maturi e che si riversi sull'agente nelle condizioni determinate solo e solamente dall'atto medesimo. Per cui l'implacabile responsabilità personale va ricondotta sempre alle vite precedenti per una piena comprensione ed eventualmente distruzione degli atti medesimi, siano essi positivi (kusala) o negativi (akusala).
« Le nascite sono esaurite, la condotta pura è stabilita, il compito è adempiuto, non seguirà più un'altra vita. »
(Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici regole della disciplina , 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu) vinaya della scuola Dharmaguptaka, ed. Taishò Issaikyò (Canone cinese), n. l428, p.789a-b)
Scrive lo studioso theravāda Ñanatiloka nel suo dizionario pāli-inglese:
« karma (sanscrito), pāli: kamma: 'azione', correttamente inteso denota le volizioni profittevoli o dannose (kusala- e akusala-cetanā) e i loro fattori mentali concomitanti, che causano la rinascita e modellano il destino degli esseri. Queste volizioni karmiche (kamma cetanā) si manifestano come azioni profittevoli o dannose tramite il corpo (kāya-kamma), la parola (vacī-kamma) e la mente (mano-kamma). E così il termine buddhista 'karma' in nessun senso significa il risultato delle azioni e certamente non indica il destino di un uomo, o magari persino quello di intere nazioni (il cosiddetto karma all'ingrosso o di massa), fraintendimenti che, per via di influenze teosofiche, si sono diffusi ampiamente in occidente.
"La volizione (cetanā), o monaci, è quello che chiamo azione (cetanāhaṃ bhikkhave kammaṃ vadāmi), che per via della volizione si compiono azioni con il corpo, la parola o la mente... C'è karma (azione), o monaci, che matura nell'inferno... karma che matura nel mondo animale... karma che matura nel mondo degli uomini... karma che matura nel mondo celeste... Triplice, tuttavia, è il frutto del karma: quello che matura nel corso della propria vita[31], (diṭṭa-dhamma-vedanīya-kamma), quello che matura nella prossima nascita (upapajja-vedanīya-kamma) e quello che matura in ulteriori nascite (aparāparīya-vedanīya kamma)..."
(Anguttara Nikāya VI, 63). »
Da un lato il nostro innato senso di giustizia morale richiede che il bene sia ricompensato con la felicità e il male con la sofferenza, dall'altra la nostra esperienza ci mostra che spesso, persone virtuose sono perseguitate da gravi difficoltà e sventure, mentre criminali e malvagi impenitenti vivono beati, ricchi e senza paura [32]. L'intuizione morale ci dice che, se l'ordine visibile non produce effetti evidenti, dipendenti dalle diverse cause, ci deve essere un'altra sede in cui rivendicare la nostra necessità di giustizia. Nel buddhismo questa legge impersonale, che regna su tutti gli “esseri senzienti” è la legge del “kamma”. Ogni azione porta un frutto, buono, cattivo o neutro, immediato o dilazionato nel tempo, in una sequenza illimitata di esistenze [33]. Il kamma ha una base etica che assicura che l'azione moralmente determinata non scompare nel nulla ma, alla fine, incontra la sua giusta retribuzione: il bene con la felicità, il male con la sofferenza.
Il Dhammapada dimostra che la morale non esaurisce il proprio compito, dando semplicemente un contributo alla felicità umana, qui e ora, ma esercita un'influenza di gran lunga più importante, nel destino personale del discepolo. Questo livello inizia con il riconoscimento del fatto che, l'esistenza, vista alla luce, del pensiero riflessivo, esige una spiegazione più profonda di quella che può dare la semplice esortazione etica alla bontà e all'altruismo.
Nella concezione popolare il kamma viene a volte identificato con il destino, ma questo è un totale fraintendimento, del tutto inapplicabile alla dottrina buddista. Kamma significa azione volitiva, l'azione che scaturisce dall'intenzione, che può manifestarsi come atto del corpo, della parola o del pensiero [34]. Il campo in cui i semi del kamma vengono portati a maturazione, è l'interminabile processo delle rinascite, chiamato samsara. Nell'insegnamento del Buddha, la vita non è vista come un evento isolato ma come parte di una serie individualizzata di vite, che non hanno un inizio conoscibile nel tempo e continuano finché il desiderio di esistenza si spegne nel Nibbana. Le rinascite possono portare gli esseri nei diversi regni, inferiori e superiori a quello umano [35].
Quindi il secondo livello di insegnamento presente nel Dhammapada è il corollario pratico della legge del kamma. Vi si trovano le regole che indicano agli esseri umani, che naturalmente desiderano la felicità e la libertà dal dolore, i mezzi più efficaci per raggiungere i loro obiettivi. Il contenuto di questo stesso insegnamento non è diverso da quello presentato al primo livello: è la stessa serie di ingiunzioni etiche volte ad evitare il male e a praticare il bene. La differenza sta nella prospettiva: non più solo sociale, i principi della morale sono mostrati qui nelle loro più ampie connessioni cosmiche, in quanto legati a una legge invisibile ma onnicomprensiva, che tiene assieme le vite degli esseri senzienti e domina sui cicli di nascita e morte. Chi vìola questa legge, agendo nella stretta dell'odio, dell'ignoranza e dell'egoismo, subisce un deterioramento del proprio stato di essere umano, che lo porta inevitabilmente nei mondi della sofferenza. Il tema è già annunciata dalla coppia di versi che apre il Dhammapada, e riappare in formulazioni diverse in tutto il testo [36].
Ma si tenga presente che nel Buddhismo Mahāyāna l'errore nella condotta verso la Liberazione è duplice, vale a dire che esso «mette in moto la rinascita e allo stesso tempo è causa della sua estinzione»[37] per diretta conseguenza della visione mahayana dell'ignoranza (avidya) che è duplice, vale a dire falsa conoscenza (viparyasa) e non conoscenza (ajnana) che si risolve con l'eliminazione della prima e l'acquisizione positiva dell'onniscienza buddhica (sarvajna).
« Se ottenete l'illuminazione alla Legge del Buddha, la saggezza onnicomprensiva e i dieci poteri e manifestate i trentadue segni, quella sarà la vera estinzione. »
(Il Sutra Del Loto, La parabola della città fantasma, VII, 182-3 (Esperia Edizioni, Milano, 1998))